giovedì 11 ottobre 2012

Prega il morto e ammazza il vivo

1971, di Giuseppe Vari. Con: Klaus Kinski, Paolo Casella, Victoria Zinny, Patrizia Adiutori, Dino Strano, Dante Maggio, Anna Zinnemann, Goffredo Unger, Aldo Berberito.

Tardo spaghetto di Giuseppe Vari, dall'evidente budget particolarmente risicato (le - poche - scenografie ed i costumi sono davvero poverissimi) ma dai risultati tutt'altro che disprezzabili.
Il plot ricalca per l'ennesima volta i temi della vendetta, da un lato, e dell'oro quale fine ultimo dell'esistenza dall'altro, fondendoli però con una certa originalità all'interno di un impianto narrativo che, come ricorda Marco Giusti nel suo Dizionario del western all'italiana, pare rifarsi più a certi noir americani (su tutti Ore disperate di William Wyler del 1955, con Bogart)  che non agli spaghetti western, a conferma della più volte citata teoria del genere-contenitore.
Il film - che, a latere, si caratterizza per il fatto che si spara pochissimo, con conseguente striminzitissimo body count - si divide nettamente in due parti. La prima, molto statica, quasi teatrale, si svolge quasi per intero all'interno di una stazione postale, dove i personaggi disvelano a mano a mano la loro psicologia, fra dialoghi, monologhi e l'epifania di inevitabili tensioni che portano a scontri verbali e fisici. La seconda, è incentrata sull'impervio viaggio che i protagonisti (una banda di fuorilegge che hanno appena svaligiato una banca, con ostaggi femminili al seguito) devono affrontare attraverso gli inospitali e desertici territori del "passo dello sciacallo", guidati dal misterioso avventuriero John Webb (Paolo Casella) verso il confine messicano.
Dan Hogan
A capo dei banditi, nei panni di Dan Hogan, c'è un incontenibile Klaus Kinski, vero mattatore della pellicola, che a conti fatti è il reale valore aggiunto del film, e che primeggia senza pietà su un cast senza infamia e senza lode, a partire dal protagonista "buono", l'anonimo Paolo Casella, che pare il clone del non già eccessivamente espressivo Anthony Seteffen. 
Il film piace molto a Tarantino, che lo ha incluso nella lista dei suoi venti spaghetti western preferiti. La cosa non stupisce, anche perchè l'autoannientazione della banda criminale che prende forma a mano a mano col passare dei minuti, porta alla mente alcuni aspetti del suo esordio Le iene (Reservoir Dogs). 
La regia di Vari è assolutamente pregevole, soprattutto nell'utilizzo non banale ed efficace dei primissimi piani e di certe inquadrature dall'angolazione inusuale. Più che buona anche la colonna sonora di Mario Migliardi, piuttosto originale, non essendo propriamente in linea con i commenti musicali più tipici del western italiano.