1967, di Carlo Lizzani. Con: Lou Castel, Pier Paolo Pasolini, Mark Damon, Ninetto Davoli, Franco Citti, Barbara Frey, Mirella Maravidi.
Più che onesto (ma neache memorabile, visti i valori in campo...) western dai toni
terzomondisti, diretto dal regista "impegnato" Carlo Lizzani con la
partecipazione niente di meno che di Pier Paolo Pasolini nella parte del
prete rivoluzionario Don Jaun (con Ninetto Davoli e Franco Citti al
seguito), quasi a voler sussidiare la fusione simbolica tra le istanze
della sinistra radicale e quelle del mondo cattolico più puro.
La presenza di Lizzani (che nello stesso anno firma un altro western, Un fiume di Dollari) e Pasolini dimostra una volta di più che nel quinquennio d'oro degli "spaghetti" un po' tutti, per vocazione o per "costrizione", si approcciavano al genere.
Bravo Lou Castel, la cui espressività un po' statica giova al fine di animare il pistolero un po' ingenuo e timorato di Dio, che intona il requiescant in pace dopo aver accoppato il malcapitato di turno, sempre nel nome della giustizia e delll'affrancamento degli oppressi penoes dal perfido latifondista yankee. La pellicola, infatti, è un tortilla western un po' sui generis, visto che mette a fuoco non lo scontro istituzionale e politico in senso stretto rappresentato dalla rivoluzione, ma l'altra faccia della medaglia, ovvero la contrapposizione, più ideologica e di derivazione più prettamente marxista (e intellettuale), tra il capitale (ovviamente rappresentato dal nordamericano) e il sotto-proletariato sfruttato.
Da un punto di vista prettamente stilistico, paradossalmente, la direzione di Lizzani è piuttosto accademica e sotto molti punti di vista sembra attingere più dal western classico americano che non al "rivoluzionario" western italiano.
La presenza di Lizzani (che nello stesso anno firma un altro western, Un fiume di Dollari) e Pasolini dimostra una volta di più che nel quinquennio d'oro degli "spaghetti" un po' tutti, per vocazione o per "costrizione", si approcciavano al genere.
Bravo Lou Castel, la cui espressività un po' statica giova al fine di animare il pistolero un po' ingenuo e timorato di Dio, che intona il requiescant in pace dopo aver accoppato il malcapitato di turno, sempre nel nome della giustizia e delll'affrancamento degli oppressi penoes dal perfido latifondista yankee. La pellicola, infatti, è un tortilla western un po' sui generis, visto che mette a fuoco non lo scontro istituzionale e politico in senso stretto rappresentato dalla rivoluzione, ma l'altra faccia della medaglia, ovvero la contrapposizione, più ideologica e di derivazione più prettamente marxista (e intellettuale), tra il capitale (ovviamente rappresentato dal nordamericano) e il sotto-proletariato sfruttato.
Da un punto di vista prettamente stilistico, paradossalmente, la direzione di Lizzani è piuttosto accademica e sotto molti punti di vista sembra attingere più dal western classico americano che non al "rivoluzionario" western italiano.