martedì 13 maggio 2014

Ciakmull - L'uomo della vendetta

1970, di Enzo Barboni. Con: Leonard Mann, Pietro Martellanza, Luigi Montefiori, Woody Strode,
Helmuth Schneider, Ida Galli, Alain Naya, Luciano Rossi.

Esordio alla regia di Enzo Barboni (noto alle cronache del tempo come E.B. Clucher), già ottimo direttore della fotografia in alcuni western italiani, su soggetto del co-creatore di Django (nonché regista di El desperado) Fanco Rossetti.
Precisiamolo subito: la storia è seria, con morti ammazzati e drammatici risvolti psicoanalitici. Pur tuttavia, l’indole “caciarona”  di Barboni (descritto dai più come persona simpaticissima, sempre incline alla battuta e costantemente alla ricerca del risvolto comico delle situazioni, anche in ambito professionale), quella che da lì a pochissimo avrebbe fatto la sua fortuna, grazie alla creazione di Trinità e del filone fagioli-western, è già intuibile in filigrana in questa pellicola.
C’è una scena, in particolare (che infatti stona non poco con la linea diegetica del film), in cui c’è concentrato in pillole tutto, ma proprio tutto il nocciolo duro della “poetica” di quello che sarà poi il suo cavallo vincente, cavalcato in pompa magna da Bud Spencer e Terence Hill. Si tratta della sequenza girata nel saloon. Nell'arco di pochi minuti assistiamo, nell’ordine a: 
1) una mega scorpacciata di fagioli; 
2) una pirotecnica partita a poker con mazziere funambolico; 
3) una super scazzottata in odor di slapstick comedy dall'esito letale per i "cattivi" (tra cui, il sempre presente Luciano Rossi).
“Trinitismo” in nuce a parte, il film ha un robusto pregio nella sceneggiatura, che scorre via con un buon ritmo e si basa sulla storia piuttosto originale di un velocissimo pistolero che ha perso la memoria e si ritrova misteriosamente rinchiuso in un manicomio criminale, e un difetto nella regia fin troppo accademica e un po' piatta (forse proprio perché non era il tipo di western adatto a Barboni, più incline al baracconesco) e nella recitazione non certo perforante del protagonista, il belloccio ma anonimo americano Leonard Mann, coadiuvato da un gruppo di comprimari che paiono uno il clone dell’altro (Pietro Martellanza e Luigi Montefiori, alias Peter Martell, e George Eastmann), con l’eccezione dell’ottimo ed erculeo Woody Strode.
Come accennato, la parte più interessante della pellicola risiede nello sviluppo della vicenda cucita addosso al protagonista senza memoria ed ai suoi tre compari di sventura che, dopo una prima parte di film itinerante e picaresca (la fuga dal manicomio, il viaggio verso il paese di provenienza alla ricerca delle origini e della memoria perduta, ma anche del consueto motore dello spaghetto: l’oro), risolve in tragedia, colma di risvolti psicoanalitici (il rapporto col padre e col fratello), con il finale per certi versi irrisolto (la domanda cruciale rimarrà senza una risposta certa), corroborato dal topos del pistolero che, ormai solo (nel caso di specie, poi, non solo noi, ma neanche lui sa da dove viene con esattezza!), si allontana verso lidi sconosciuti.
Degnissima colonna sonora di Riz Ortolani.

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