domenica 15 luglio 2012

E Dio disse a Caino...

1970, di Antonio Margheriti. Con: Klaus Kinski, Peter Casrsten, Guido Lollobrigida, Marcella Michelangeli, Luciano Pigozzi, Antonio Cantafora.


Il Signore disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?». Egli rispose: «Non lo so. Sono forse il guardiano di mio fratello?». Il Signore disse: «Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Ora tu sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco sulla terra.”  (Genesi 4:9)
Bellissimo western dai tratti gotici e dalle tinte fosche di Antonio Margheriti, uno dei maestri del cinema di genere italiano. 
Il film, fatto salvo il soleggiatissimo ed abbagliante incipit dal sapore quasi country-blues (che mia ha fatto sovvenire le atmosfere che si respirano in Fratello, dove sei?, l'eccezionale film dei fratelli Coen), è insolitamente notturno e prende a prestito più di un elemento dal cinema horror, non a caso uno dei generi con cui si è misurato Margheriti: le campane che suonano misteriosamente ed incessantemente quale chiaro segnale di eventi nefasti, il continuo e lugubre soffiare del vento, la musica sinistra dell'organo a canne, suonata da un inquietante prete a metà strada tra l'alienato e l'allucinato, l'impiccagione alla campana della chiesa, e via dicendo.

Il film, che riesce perfettamente nel dichiarato intento di discostarsi da quelli che ormai nel 1970 possono essere considerati i canoni dello spaghetti western (in maniera analoga, seppur significativamente diversa, a quanto fece Giulio Questi con il suo meraviglioso e squinternato Se sei vivo spara), è diretto impeccabilmente (con qualche gran colpo di classe: la goccia nella pozzanghera nel cimitero indiano) e Klaus Kinski, per una volta protagonista principale di un western, è straordinario nel ruolo per lui insolito del buono. Che poi, buono si fa per dire, visto che agendo accecato dalla sete di vendetta, in pieno stile angelo sterminatore, ammazza cristiani manco fossero formiche, senza mostrare un minimo di pietas.
A latere, pare che Kinski - terrore dei registi - noto per il suo caratteraccio e le sue scenate da prima donna nel corso delle riprese, abbia trovato in Margheriti un osso durissimo e che al primo tentativo di bizza, con consueta minaccia di abbandonare il set, il regista si sia adirato a tal punto da scagliargli addosso alcuni dei fucili di scena, ottenendo l'insperato ed imprevedibile effetto di farlo diventare docile come un agnellino per tutte le riprese del film. E non solo: tra i due si instaurò  un ottimo rapporto, che permise loro di proseguire la collaborazione anche in pellicole successive. Scrive a tal proposito Edoardo Margheriti, figlio del regista:

"Klaus era un "animale" da cinema, e probabilmente voleva sentirsi "dominato" dalla persona preposta a dirigerlo. Infatti in seguito ebbe un rapporto straordinario con Antonio, lavorando in molti altri suoi film. Credo che Antonio Margheriti e Werner Herzog furono i soli due registi a creare un rapporto di superiorità, e conseguentemente di collaborazione e stima, con Klaus Kinski."
Evidente (e dichiarato dallo stesso Margheriti) l'omaggio a Orson Welles (del quale il regista era un grande estimatore) con il duello finale tra gli specchi, che cita e richiama La Signora di Shangai e Quarto potere.



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