giovedì 26 luglio 2012

Sentenza di morte

1968, di Mario Lanfranchi. Con: Robin Clarke, Richard Conte, Enrico Maria Salerno, Adolfo Celi, Tomasa Milian, Luciano Rossi.


Sentenza di morte è, di fatto, un film ad episodi, l'unico che mi venga in mente nell'alveo dello spaghetti western.
La vendetta di Cash (un inespressivo e un po' anonimo Robin Clarke) pare essere un mero pretesto per lo sviluppo delle quattro vicende. L'intreccio così strutturato porta al parossismo sul piano narrativo (e su quello della caratterizzazione dei villains) l'idea, già sviluppata da Giulio Petroni in Da uomo a uomo, della ricerca ad uno ad uno degli assassini della propria famiglia (in questo caso del fratello) per poter compiere la più classica delle vendette. Idea per altro ripresa anche da Quentin Tarantino con i due volumi del revenge movie per eccellenza degli anni 2000, Kill Bill.
Veri protagonisti - e pezzi da novanta del film - sono i villains che Cash insegue per compiere la propria vendetta. I "cattivi" di super lusso sono, nell'ordine: Richard Conte (il più umano e fragile), uno straordinario Enrico Maria Salerno (il raffinato ed acuto gambler), Adolfo Celi (il sedicente prete col vizietto della Colt) ed un allucinato Tomas Milian, bravissimo nella parte (che sembrerebbe studiata pensando a Klaus Kinski) dell'albino biancovestito con il debole per l'oro e per le donne bionde.

Ad ogni vendetta di Cash l'atmosfera cambia radicalmente (come detto, si tratta di veri e propri episodi, uniti solo dal comun denominatore della vendetta, che è però poco più di un - eccellente - pretesto) e man mano che si passa al villain successivo, il clima si fa sempre più tetro e straniante, in un climax ascendente che porta sino al finale, decisamente sopra le righe, a metà strada tra l'horror gotico ed il pop lisergico.
Particolarissima (e bella) la colonna sonora di Gianni Ferrio, imbottita di inserti ed influenze jazz.

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