1966, di Sergio Corbucci. Con: Burt Reynolds, Nicoletta Machiavelli, Aldo Sambrell, Fernando Rey.
Tra le tematiche trattate dai western italiani, quella degli "Indiani" è
sempre stata quasi del tutto assente, per motivi pratici anzitutto: i budget spesso
ridottissimi non consentivano certo alle produzioni di andare a girare
in America o assoldare oltreoceano attori che fossero credibili in tal
senso.
Non è un caso, per contro, l’abbondanza di Messicani, somaticamente più imitabili, pescando tra attori del bacino mediterraneo.
In questo contesto, Navajo Joe rappresenta certamente un’eccezione, presentandoci addirittura un nativo americano quale protagonista, anticipando le tematiche antirazzisite che saranno care al western revisionista americano degli anni ’70, che avrà il suo culmine in tale ambito con capolavori quali Soldato Blu di Ralph Nelson e Piccolo grande uomo di Arthur Penn.
A suo modo, un film politico, accostabile da questo punto di vista, fatti i debiti aggiustamenti, al terzomondismo degli zapata western.
Ciò detto, il film – sceneggiato da Di Leo – offre alti e bassi: Corbucci è un fuoriclasse e a tratti lo fa vedere, Ennio Morricone (qua accreditato, seconde le usanze dell’epoca, come Leo Nichols) sfodera una colonna sonora eccezionale (ripresa in larga parte da Tarantino in Kill Bill), Aldo Sambrell (un habitué degli spaghetti western, grande caratterista) è davvero bravissimo nell’impersonare il perfido cacciatore di scalpi indiani Duncan e Nicoletta Machiavelli (altra figura non trascurabile del western nostrano) è bellissima e piuttosto credibile nei panni della mezzosangue.
Le nota più dolente – sostanzialmente l’unica, ma troppo precipua per essere trascurata – risiede proprio nell’interpretazione dell’allora sconosciuto Burt Reynolds, acerba e piuttosto sciatta. A ciò si aggiunga la poca credibilità dell’attore nei panni di un Indiano navajo, nonostante le sue remote origini cherokee, e la frittata è fatta. Certo, il film non ne risulta del tutto compromesso, ma la presenza della futura super star Reynolds (che in questo film, tra l’altro, ricorda in modo inquietante, anche nell’espressività, Ron Moss, il Ridge di Beautiful!) proietta un’ombra comunque ingombrante su una pellicola che, per contro, vanta ottimi spunti e non pochi aspetti degni nota, come rimarcato in precedenza.
Non è un caso, per contro, l’abbondanza di Messicani, somaticamente più imitabili, pescando tra attori del bacino mediterraneo.
In questo contesto, Navajo Joe rappresenta certamente un’eccezione, presentandoci addirittura un nativo americano quale protagonista, anticipando le tematiche antirazzisite che saranno care al western revisionista americano degli anni ’70, che avrà il suo culmine in tale ambito con capolavori quali Soldato Blu di Ralph Nelson e Piccolo grande uomo di Arthur Penn.
A suo modo, un film politico, accostabile da questo punto di vista, fatti i debiti aggiustamenti, al terzomondismo degli zapata western.
Ciò detto, il film – sceneggiato da Di Leo – offre alti e bassi: Corbucci è un fuoriclasse e a tratti lo fa vedere, Ennio Morricone (qua accreditato, seconde le usanze dell’epoca, come Leo Nichols) sfodera una colonna sonora eccezionale (ripresa in larga parte da Tarantino in Kill Bill), Aldo Sambrell (un habitué degli spaghetti western, grande caratterista) è davvero bravissimo nell’impersonare il perfido cacciatore di scalpi indiani Duncan e Nicoletta Machiavelli (altra figura non trascurabile del western nostrano) è bellissima e piuttosto credibile nei panni della mezzosangue.
Le nota più dolente – sostanzialmente l’unica, ma troppo precipua per essere trascurata – risiede proprio nell’interpretazione dell’allora sconosciuto Burt Reynolds, acerba e piuttosto sciatta. A ciò si aggiunga la poca credibilità dell’attore nei panni di un Indiano navajo, nonostante le sue remote origini cherokee, e la frittata è fatta. Certo, il film non ne risulta del tutto compromesso, ma la presenza della futura super star Reynolds (che in questo film, tra l’altro, ricorda in modo inquietante, anche nell’espressività, Ron Moss, il Ridge di Beautiful!) proietta un’ombra comunque ingombrante su una pellicola che, per contro, vanta ottimi spunti e non pochi aspetti degni nota, come rimarcato in precedenza.
Nessun commento:
Posta un commento