giovedì 14 giugno 2012

Per il gusto di uccidere

1966, di Tonino Valerii. Con: Craig Hill, George Martin, George Wang, Fernando Sancho, Piero Lulli, Rada Rassimov.

Esordio con il botto, quello di Tonino Valerii nel western all'italiana. Nonostante sia considerato dai più uno dei suoi film minori (soprattutto a cospetto dei due celeberrimi Il mio nome è Nessuno e I giorni dell'ira), Per il gusto di uccidere è un opera di tutto rispetto, e forse anche qualche cosa in più. Per qualcuno, come Marco Giusti nel suo Dizionario del western all'italiana, addirittura il suo capo d'opera.
Di certo, c'è che la pellicola si distanzia non poco da quelli che saranno la poetica e lo stile di Valerii nei suoi film successivi, vuoi per l'influsso pesante che avrà la lezione stilistica leoniana nei suoi confronti, vuoi per la più o meno esplicita morale che farà da sfondo e da epilogo alle vicende messe in scena.
Qua, per contro, ci si trova dinnanzi ad uno dei più amorali e cinici personaggi di tutta la filmografia “spaghetti”, che prende a prestito dal caposcuola Leone soltanto l’idea dello “straniero senza nome” (nel nostro caso, con nome e cognome), per poi proporla allo spettatore col tramite di una regia asciutta e senza fronzoli. Il Lanky Fellow dell’ottimo Craig Hill è un bounty killer dallo sguardo impenetrabile ed il perenne sorriso beffardo stampato sulla faccia, calcolatore, analfabeta (sa leggere solo le cifre sui dollari e sui manifesti che pubblicizzano i ricercati, per poter valutare se la taglia vale la pena della fatica) e interessato solo e soltanto al denaro. Di striscio, anche alla vendetta del fratello, ma tale sentimento, in Lanky Fellow, sembra davvero appartenere ad una vicenda collaterale e secondaria, soprattutto nella sua scala di valori. 
Anche nel modus operandi il Nostro è cinico e spietato come pochi altri (per lo meno fra quelli dovrebbero essere i “buoni”): disdegna lo scontro ravvicinato,  agendo spesso da lontano, grazie ad un cannocchiale, che trasforma il suo fucile in un’arma ad altissima precisione (emblematica, da questo punto di vista, la geniale battuta che riserva al malcapitato di turno, il sempiterno Fernando Sancho, che viene freddato al termine del prologo: “Non vado mai dove posso mandare un proiettile”! Per non parlare del fatto che assiste, senza fare un plissé, alla strage dei soldati di scorta al tesoretto di turno: fermare i banditi prima dell’assalto, non gli avrebbe fruttato il giusto in termini economici.
Gli unici aspetti afferenti alle relazioni umane (mi pare eccessivo parlare di approfondimento psicologico dei personaggi), per contro, si possono riscontrare proprio nel capo dei banditi, il perfido e spietato Gus (quanto e se più spietato di Lanky, è tutto da dimostrare), segnatamente nell’intenso rapporto che lo lega alla sua donna ed a suo figlio (bambino, che Fellow non si fa alcuno scrupolo a rapire, quando se ne presenta l’occasione…). 
Bellissimi e coloratissimi i titoli di testa e più che discreta la briosa colonna sonora di Nico Fidenco.
Infine, per la serie “trova la citazione”, appare sulle scene per la prima volta un personaggio messicano, con i baffoni a manubrio, di nome Machete, che utilizza l’omonimo arnese quale arma prediletta… che Tarantino e Rodriguez ne sappiano qualcosa? 
Machete

Nessun commento:

Posta un commento